La bestia educata a comprare: l’uomo…

Uccidere per comprare l’ultimo modello al super?

Ora si può!

Basta una mandria di affamati per gli acquisti, magari con lavoro precario, magari che lavorino 10/12 ore al giorno per sbarcare il lunario, magari che non abbiano assistenza medica e sanitaria, magari senza il diritto all’istruzione, magari che abbiano mutui che non estingueranno mai, magari che non siano padroni di niente ma sognino di diventare ricchi. Prendi un super che sta per aprire, un commesso che apre le porte, ed il gioco è fatto! Calpestato e ucciso dalla folla.

Ma la cosa più ridicola, pace all’anima del commesso, è che non se ne accorge nessuno di lui e dei propri piedi che lo schiacciano e maciullano. C’è solo da arrivare primi alla meta!

Dite che non è possibile!!? Basta vivere in balia della televisione e della pubblicità… Basta vivere desiderando d’acquistare la propria felicità.

La crisi economica è appena arrivata e son già tanti gli accorati appelli a comprare per non far crollare il sistema, “to big to crash” dice il saggio economista, troppo grande per crollare, crea disordine sociale e caos il crollo. Il governo ha già stanziato l’esercito, ha già varato nuove leggi, ha perfino fatto una carta bonus per i più poveri, la “social card” basta che continuiamo a comprare! Ma coi limiti di un pianeta allo stremo delle forze non ci si vuol confrontare, con una crescita demografica esponenziale non ci si vuol confrontare, con consumi crescenti perché crescenti le popolazioni e le proprie necessità non ci si vuol confrontare, cambiare rotta non interessa a chi ha paura e conosce solo la forza per imporre il proprio dominio, che sia di destra o di sinistra. Dopo quella economica e finanziaria arriverà la crisi energetica del petrolio, e rispunta il nucleare, poi quella dell’acqua, le multinazionali si sono già portate avanti comprandosela, e noi “poveri” cittadini e lavoratori a chiedere al sindacato di turno di difenderci e tutelarci. Il vero problema è che ci hanno strappato dalle campagne per farci lavorare nelle fabbriche e diventare cittadini e col tempo abbiamo perso il contatto ed il rapporto con le cose vere, col cibo, colla terra, col sole e con le nuvole, non sappiamo più far niente se non schiacciare bottoni. Non sappiamo più assolvere a nessuna nostra necessità e possiamo, anzi dobbiamo solo comprare. Comprare tutto! Non abbiamo ambizioni più alte che finire anche noi nella scatola piena di colori che ci dà un po’ di svago a fine giornata. Ma non c’è posto per tutti, c’è posto solo per chi sacrifica la sua vita al sogno di diventare qualcuno e per questo lotta. E lottare alimenta l’egoismo, crea miti, aspettative e divide. E con tutta la tecnologia esistente siamo ancora dietro lavorare tutto il giorno, chi ha la fortuna d’avercelo fisso, il lavoro, per produrre merci, continue, nuove merci, sempre più nuove, sempre più inutili. Ed il pensionato colla minima ci muore di fianco e noi a saltare su una pedana collegata alla tv, e se ha quattro soldi in tasca il vecchio se li gioca alla fortuna perché se gli arride fa il botto ed anche lui se li potrà godere gli ultimi giorni, e i parchi e le strade sono pieni di negri, sud americani che sporcano, spacciano e puzzano e noi restiamo dentro la nostra bella casa moderna e confortevole che almeno lei ci assomiglia perché per strada è uno schifo. Va tutto bene! Ottimismo gente! Voi credete davvero in questo?

Io vedo spiragli invece! Vado un mezzo fantastico che è la rete, prende da chi ruba facendosi pagare miliardi di soldi che non esistono, per distribuire a tutti gratis! Vedo campi e vallate sterminate piene di risorse, altro che le grandi città… vedo gente cresciuta nella paura e nel grigiore urbano che sa quello che vuole, ha solo bisogno di un po’ di coraggio per farlo! Obama investe su ecologia e internet, sarà un caso!!?

Il socialismo è necessario! E Bettino non c’azzecca niente col socialismo che ci serve! E’ la terra che lo implora! Non la sentite gridare? Non la vedete strepitare?

Non bisogna fare di più, produrre di più, lavorare di più, bisogna solo fare meno e meglio! Dare a tutti la possibilità di partecipare, le personalità più meritevoli spiccheranno ugualmente, anzi con maggior freschezza!

La terra produce, divide, ricicla, tutto crea, nulla distrugge e tutto trasforma da una forma all’altra! Prendiamo ad esempio, la terra! Perché la natura è semplicemente come funziona la vita in questo mondo, ed è perfetta!

Oggi ti sei risvegliato e questo è fantastico!

 

Comprare la propria infelicità produce morte

Di marcocedolin.blogspot.com per www.decrescitafelice.it

A Valley Stream, un sobborgo di New York è accaduto qualcosa che nella sua drammaticità rappresenta per molti versi la sublimazione del consumo per il consumo, così come lo vorrebbero i “timonieri” che ci governano attraverso esortazioni a consumare sempre di più, comunque di più, anche se per farlo saremo costretti ad indebitarci sempre più, fino al momento in cui le banche ci porteranno via la casa e la macchina insieme agli oggetti dei nostri acquisti e all’ottimismo che ci aveva indotto ad acquistare bulimicamente.

A Valley Stream lo scorso venerdì, quello che segue il giorno del Ringraziamento e tradizionalmente viene chiamato “Black friday” (in quanto inaugura il periodo degli acquisti natalizi e porta le casse dei commercianti ad uscire dal rosso) l’orgia del consumo, favorita anche dai fortissimi sconti praticati per attirare la clientela in un momento di crisi, ha raggiunto livelli mai sperimentati prima neppure negli Stati Uniti.

Venerdì alle 4,55 del mattino, quando la notte era ancora fonda ed in cielo tremolavano le stelle, circa 2000 persone si sono ritrovate assiepate dinanzi all’ingresso di un ipermercato della catena Wal-Mart, che proprio alle 5 del mattino avrebbe aperto le proprie porte sull’universo degli acquisti, fatto di schermi al plasma, forni microonde, macchine fotografiche digitali, cellulari all’ultimo grido, console per videogiochi, piumini imbottiti, robot da cucina e mirabilie di ogni genere. Molte di loro, per guadagnare le prime posizioni, si erano messe in fila già il giorno prima ed erano all’addiaccio nel parcheggio dell’ipermercato da 24 ore.

Quando ormai non mancavano che pochi minuti all’apertura, quasi fosse caduta preda di una sorta di fervore mistico, sconosciuto perfino a chi, come Berlusconi e Unieuro si dice pronto a giurare sull’onnipotenza dell’ottimismo, la folla ha iniziato a premere, sfondando i cancelli ancora chiusi e travolgendo qualunque cosa si frapponesse sul suo cammino. Ne ha fatto le spese Jdimypai Damour, impiegato temporaneo di 34 anni originario della Giamaica, travolto ed ucciso dalla folla che gli è letteralmente “passata sopra”, mentre sono rimaste ferite anche alcune persone scivolate a terra nella calca, fra le quali una donna incinta di 8 mesi.

Secondo le numerose testimonianze i “consumatori” non si sono minimamente curati dell’inserviente da loro stessi ammazzato e senza farsi alcuno scrupolo hanno perfino ostacolato i suoi colleghi che tentavano di soccorrerlo, interessati unicamente a razziare i prodotti sugli scaffali prima che gli stessi rischiassero di andare esauriti. Anche dopo l’arrivo dell’ambulanza e della polizia, il flusso dei clienti è continuato come se nulla fosse accaduto ed il rito degli acquisti natalizi è andato avanti per tutta la giornata rimpinguando le tasche di Wal-Mart.

Pur senza cadere nella retorica e nel facile moralismo, eccessi di follia come quello di Valley Stream, le cui dinamiche (fortunatamente non le conseguenze) ricalcano episodi accaduti anche in Italia, basti pensare agli incidenti al centro commerciale Panorama di San Mauro Torinese negli anni 90, inducono a riflettere su quanto in profondità l’imperativo del consumo per il consumo abbia ormai penetrato la nostra società, trasformandoci in individui disumanizzati che ambiscono unicamente ad interpretare il ruolo di tubi digerenti della produzione industriale.

Merci che per un sempre crescente numero di persone rappresentano ormai un vero e proprio surrogato dei sentimenti e delle emozioni, un rifugio sicuro all’interno del quale esorcizzare la mancanza di punti di riferimento esistenziali, la superficialità dei contatti umani, il vuoto assoluto di un viversi in modo esclusivamente materialistico, l’incapacità di trovare un senso all’interno di vite che non riescono a correre in profondità. Oggetti di consumo che diventano il terminale delle emozioni, dei sentimenti, dei sacrifici, delle attenzioni. Compagni fedeli che una volta “posseduti” non tradiranno mai, accettando di buon grado l’individuo con tutte le sue contraddizioni.

Trascorrere un’intera giornata festiva e affrontare il freddo della notte, accampati nel posteggio di un centro commerciale, per essere sicuri di non mancare l’acquisto del lettore dvd a metà prezzo o del frigorifero digitale super scontato, rappresenta senza dubbio una manifestazione di follia. Così come è folle l’atteggiamento di migliaia di persone che a notte fonda invadono le corsie di un ipermercato, preoccupandosi unicamente dei propri acquisti scontati, ignorando l’uomo da loro stessi ucciso pochi minuti prima che ancora giace steso per terra.

Ma tanta follia, esacerbata all’interno di episodi surreali come quello di Valley Stream, trova il proprio humus in una società come quella Occidentale all’interno della quale la valenza dell’essere umano viene misurata esclusivamente in virtù delle sue potenzialità di consumatore.

Dove chi non consuma a sufficienza non è un buon cittadino, dove l’esibizione degli acquisti superflui equivale all’affermazione del proprio status quo, dove occorre essere ottimisti anche quando si comprende che nel giro di pochi mesi ci si ritroverà a vivere in mezzo ad una strada, dove l’indice del PIL è diventato l’unico valore che conti, dove preservare gli incassi delle grandi catene di distribuzione durante il periodo natalizio è una questione di vita o di morte, dove facendo un lavoro interinale si può morire nel mezzo della notte, schiacciati dalla ressa che alle 5 del mattino sta invadendo le corsie alla ricerca del regalo di Natale a prezzo di sconto.

Può un nazionalismo “sano” salvarci dall’imperante “falsa coscienza”?

di Andrea Bertaglio

L’Italia è da sempre un Paese noto per la grande varietà della sua cucina, delle sue tradizioni, dei suoi dialetti. Il “Made in Italy” si è sempre distinto per l’abilità dei nostri artigiani, per l’unicità di prodotti “cult” come la Vespa e la Cinquecento e, forse, per tutto ciò che è fatto con passione e con amore in generale, per tutto ciò che è piccolo e bello.
Attraversare la nostra penisola dalle Alpi ad Agrigento, o dai laghi al Salento, lascerebbe basito chiunque, non solo per l’incredibile varietà culturale e paesaggistica (cantieri a parte) che ci si ritrova davanti percorrendo una distanza relativamente breve (se paragonata al resto del mondo), ma anche per la particolarità forse ancor più italiana che europea di una miriade di micro-realtà che da secoli si perpetuano in ogni campo ed in ogni regione. Persino ciò che riguarda il vino non smentisce questa caratteristica variegatura italica, visto che siamo il Paese con il più alto numero di vitigni indigeni al mondo. Vogliamo parlare di opere d’arte? Ne abbiamo, da soli, più di tutto il resto del mondo messo insieme! Anche la nostra economia è basata per lo più sull’attività di piccole e medie imprese, ditte di artigiani ed imprenditori di vario tipo che nella maggior parte dei casi non hanno più di 15 o venti dipendenti.
Allora perché, con tutti questi motivi (che sono solo pochissimi esempi), dovremmo sentire l’orgoglio della nostra italianità mantenendo (letteralmente) fallimenti enormi quali Alitalia? Perché siamo stati colti da questa sindrome da gigantismo in tutto e dappertutto? Perché, con un tale potenziale artistico e paesaggistico, ci sono invece più turisti nelle discoteche spagnole e nei musei parigini? Perché continuiamo a spacciarci per grande nazione imperialista, che manda il suo (da sempre) squattrinato esercito in missioni che oltre tutto non giovano in nessun modo al benessere nazionale? Perché si vogliono costruire ancora centrali nucleari (oltre che a carbone), quando siamo ricchissimi di energie rinnovabili e culturalmente predisposti alla micro-cogenerazione diffusa? Perché parlano di grandi colture OGM, quando la forza dei nostri prodotti sta nella loro genuinità e nel loro gusto, sano e vero? Perché si progettano o avviano dispendiose e faraoniche opere che non solo non hanno alcun senso ed utilità, ma rovinerebbero (e rovinano) ulteriormente i paesaggi di cui sopra, già martoriati da una cementificazione selvaggia?
Berlusconi ed i suoi maggiordomi (sia alla maggioranza che alla cosiddetta opposizione, per non parlare dei media ufficiali), purtroppo non sono solo imbarazzanti a livello internazionale. Se fosse solo una questione di corruzione, clientelarismi e battute infelici, non sarebbe poi così grave. Certo l’immagine dell’Italia nel mondo sarebbe, ed è già, terribilmente compromessa (così come la possibilità di essere presi sul serio, almeno ogni tanto), ma non sarebbe la fine del mondo. Siamo abituati, ormai.
Il fatto è che questi signori parlano di cose con cui non si dovrebbe scherzare: energia nucleare (e relative scorie non smaltibili), OGM (e loro tuttora ignoti effetti sulla salute), grandi opere (e l’impatto socio-ambientale che hanno) non sono sullo stesso livello delle questioni riguardanti “calendive” diventate ministre da un giorno all’altro o l’abbronzatura di Obama. Le manie di grandezza di pochi non possono rappresentare un intero popolo, notoriamente pacifico e genuino negli usi e nei costumi. E’ successo in passato, ma gli esiti non sono stati molto felici. Quando la smetteremo, anche noi come popolo, di accettare tutto passivamente? E quando la smetteremo di giocare a fare gli americani? Come possiamo non capire che trovate come quella di privatizzare l’acqua (o l’istruzione o, un domani, la sanità), non solo vanno contro ogni morale, ma anche contro il nostro interesse?
Come possiamo non vedere che se certi ideali e certe strategie sono state un totale fallimento negli USA, non ha nemmeno senso parlarne in un contesto sociale e culturale come quello italiano?
Sarebbe ora di tornare ad un amore per la patria vero, magari ad un sano nazionalismo che ci porti non a chiuderci a riccio nei confronti del resto del mondo, ma che ci riporti ad una dimensione più locale e più consapevole di ciò che siamo, aprendo gli occhi su ciò che ci sta accadendo. Un nazionalismo, quindi, che contrasti la globalizzazione, non l’apertura verso ciò che è straniero, o semplicemente ritenuto “diverso”.
L’Italia era, con tutti i suoi problemi e difetti, un Paese povero ma bello, mentre negli ultimi decenni, cioè da quando ci siamo messi a fare i “ricchi” e gli “industrializzati”, abbiamo spesso dimostrato di essere agli antipodi di ciò che è un comportamento corretto e virtuoso (leggi corruzione, degrado ambientale, società e famiglia allo sbando). Abbiamo voluto fare gli americani, come nella canzone di Renato Carosone, ma dagli americani abbiamo preso quasi solo il peggio: iper-consumismo, privatizzazioni (anche se queste “all’italiana”), stili di vita assurdi, cibo e merce spazzatura. Ma ciò che avremmo dovuto imitare (come ad esempio la volontà/capacità di sbattere in galera per novant’anni politici e manager corrotti) l’abbiamo casualmente lasciato da parte.
Noi però non siamo l’America. Siamo un Paese che ha ancora più bisogno di un cambiamento, e che dovrebbe tornare ad essere orgoglioso ed allo stesso tempo consapevole di ciò che è stato, e, possibilmente, di ciò che sarà.
Ci vuole un nuovo tipo di nazionalismo, oggi, che non sia quello becero che ci fa pagare due milioni di euro al giorno per Alitalia, bruciare allo stadio bandiere di altre nazioni o sfogare le nostre ansie e frustrazioni nella xenofobia più ottusa. Ci serve un nazionalismo che vada oltre l’entusiasmo per le vittorie di Valentino Rossi o della nazionale ai mondiali di calcio. Non servono le grandi opere, i falsi bilanci statali e gli affari milionari degli OGM per far crescere il PIL (e il guadagno di pochi) e farci stare nel club del G8, se poi siamo un Paese palesemente vecchio, triste, depresso, sfiduciato, e, alla fine, per niente ricco.
Ciò che dovremmo aiutare a crescere non è il PIL, ma la nostra qualità di vita. Semplicemente tornando ad essere noi stessi. E scrostandoci di dosso la “falsa coscienza” che troppo spesso ci attanaglia.

Il nuovo secolo americano

Documentario imperdibile. Vi prego di guardarlo tutto, perché dobbiamo sapere. Solo sapendo possiamo Cambiare.

Io spero in Obama e nella gente che lo ha votato perché tutto quel che vedrete nel documentario non abbia mai più ad essere. Io spero in Obama perché è mezzo nero, perché la fame, la carestia, la povertà e la schiavitù ce le ha nel sangue.

Fonte: Espresso 2002

 

Amount spent annually ($ billions)

Amount needed per year ($ billions)

 

105 alcool

5 sradicazione fame nel mondo

 

400 droghe

6 educazione per tutti

 

780 armi e armamenti

9 acqua potabile per tutti

 

1000 marketing

12 cibo per tutti e bisogni di base

 

1500 speculazione

40 sradicazione povertà

 

Lo 0.4% delle spese annue messe in moto dall’economia capitalista ogni anno risolverebbe i problemi di fame e povertà in tutto il mondo.

Ma non lo fa, la fame e la povertà sono scelte ampiamente ponderate da questo sistema di sviluppo economico.

Facciamo tutti il lavoro sbagliato! I nostri lavori inquinano, ci impoveriscono spirito, anima e corpo, sono strettamente necessari per sopravvivere ed arrivare a fine mese perché nessun governo ha mai avuto come scopo creare un sistema sociale vivibile, a misura d’uomo, a forma di cerchio, si sono sempre e solo costruite piramidi per detenere il potere e creare schiavi, poi cittadini, quindi elettori.

E’ necessario e urgente passare dal PIL al BIL (Benessere Interno Lordo), dall’economia dei capitali all’economia del dono. Smetterla di impegnare sudore, fatica e rischi in cambio di carta (soldi) che con l’attuale sistema bancario vengono garantiti da altra carta senza valore che impone a qualche d’un altro affamato di dover impegnare a sua volta: sudore, fatica e rischi, in cambio di carta. Ma se quella carta cominciamo a scambiarcela direttamente senza che per ogni scambio venga creato un debito? Cosa succederebbe? Perché il sistema sta in piedi sui debiti, sulle nostre vite investite a tappar debiti.

Io voglio solo Vivere, spero anche Voi…

Sembra che ce la stiamo facendo!!

Rivoluzione Decrescita Felice

di Andrea Bertaglio

I problemi che stiamo vivendo in questo preciso momento storico, siano essi di carattere economico piuttosto che finanziario, sociale o ambientale, non possono essere risolti con le pseudo-soluzioni offerte dal mondo politico-economico.
Cio’ di cui abbiamo veramente bisogno non e’ altra (improbabile) crescita economica, che invece di attenuare le disparita’ sociali le aumenterebbe ulteriormente. Non sono le mirabili innovazioni tecnologiche, le quail non riuscirebbero affatto a risolvere, nonostante la presunzione, i problemi ambientali.
Cio’ che ci serve piu’ di ogni altra cosa in questo momento e’ una riforma culturale, che la Decrescita, appunto, si e’ gia’ proposta di avviare.
Come? Cambiando alcune basilari regole comportamentali della nostra vita quotidiana, scegliendo (o forse semplicemente tornando a) stili di vita un po’ piu’ sobri di quelli attuali, passando dalla competizione alla collaborazione, dalla quantita’ alla qualita’, dallo spreco al risparmio (di denaro, di risorse, di energia, di tempo, a beneficio sia dell’ambiente che soprattutto delle nostre tasche e del nostro umore).
Nessuno ne’ ora ne’ andando indietro nella storia (a parte Robert Kennedy in un suo celebre discorso, circa tre mesi prima del suo assassinio!) si e’ mai sognato di mettere in discussione il paradigma della crescita economica e del Prodotto Interno Lordo. Che si pensi alle democrazie piuttosto che ai dispotismi, al socialismo piuttosto che al capitalismo, la crescita e di conseguenza un produttivismo forsennato sono sempre stati alla base dell’agenda politica di ogni partito, nel DNA di ogni ideologia.
Oggi siamo pero’ in un particolare momento storico. Ci stiamo scontrando con i limiti di questo tipo di sistema, con quelli ambientali e, non ultimi, con quelli interiori di una specie, quella umana, che evidentemente non riesce piu’ a sostenere l’insensata guerra che ha dichiarato gia’ da un paio di secoli sia alla natura che alla propria spiritualita’, ovviamente senza alcuna possibilita’ di successo.
Cio’ che ci resta da fare e’ prendere coscienza di cio’, dei nostri limiti, delle nostre reali necessita’ e priorita’. E cio’, ormai, e’ possible attraverso una rivoluzione. Una rivoluzione, pero’, come la intende Cornelius Castoriadis: non sanguinosa, che non porti ad una guerra civile; una rivoluzione culturale, appunto, resa possible dal “cambiamento di certe istituzioni centrali della societa’ attraverso la stessa attivita’ sociale, l’esplicita auto-trasformazione della societa’ concentrata in un breve periodo di tempo… Rivoluzione significa l’ingresso dell’essenza della comunita’ in una fase di attivita’ politica”.(1)
In altri termini, cio’ che ci serve ora e’ partecipazione, che sia essa politica oppure no. Abbiamo bisogno di risvegliarci dal torpore in cui siamo rimasti immersi negli ultimi anni (se non decenni), in modo da riprendere in mano sia la situazione generale che le nostre vite, e da ridare forma al nostro mondo per riempirlo nuovamente di sostanza.
Partecipare attivamente significa anche tornare a dare la giusta importanza a due delle colonne portanti della Decrescita: la convivialita’ e l’azione su scala locale (pensa globalmente e agisci localmente!).
Per fare cio’ il Movimento per la Decrescita Felice, probabilmente il maggior esponente della Decrescita a livello nazionale, e’ strutturato in diversi Circoli territoriali. Essere un membro MDF da’ modo di entrare in contatto con persone che come noi si sono proposte di dare un reale inizio alla suddetta rivoluzione.
MDF e’ un’associazione senza scopo di lucro, formata da persone che hanno la stessa visione e che condividono i metodi ed i tempi per metterla in pratica. La quota annuale chiesta ai soci ordinari, cosi’ come il volontario apporto dei simpatizzanti, non e’ l’ennesima macchina da soldi a cui siamo purtroppo abituati (anche il sottoscritto sta scrivendo per passione, non per denaro), ma un modo per supportare le spese di base di quello che in questo momento e’ un “gruppo” di persone che hanno gli occhi ben aperti, le idee ben chiare, e che hanno deciso di passare dalle parole ai fatti.
Nel contesto sociale in cui ci troviamo, inoltre, abbiamo decisamente bisogno di ricreare legami di amicizia e di fiducia che siano solidi ed affidabili, possibilmente con individui che sanno e sanno fare, e che condividono con gli altri non solo le proprie conoscenze, ma anche l’indisponibilita’ tipica della Decrescita a farsi soddisfare rapidamente dalle vuote promesse della societa’ dei consumi. Persone che, come avrebbe detto Adorno, facilmente respingono la saggezza stolta costituita dalla rassegnazione.

(1): C. Castoriadis, “Une societe’ a’ la derive”, Seuil, Paris, 2005

Clicca qui per capire come formare un circolo territoriale per la Decrescita Felice.

Arrakis – documentario poetico

http://arrakis.vh5n1.net

A parlare è Silvestro Capelli, un ex-operaio della storica Breda Fucine di Sesto San Giovanni.

Questo video, Arrakis, è un bellissimo documentario poetico di tributo ai luoghi e alle vittime del progresso industriale italiano.
Vedute di fabbriche abbandonate fanno da sfondo ad una voce trasformata dalla malattia, quella di Silvestro. Nel 1996 ha subito un intervento di laringectomia totale per estirpare un tumore causato dall’amianto inalato durante gli anni del lavoro in fabbrica.

***

Grazie a Nannolino e Tunszu amici incontrati rete facendo.

 

Diario di scuola (Daniel Pennac e l’auspicio della decrescita felice!)

 

Daniel Pennac “Diario di scuola”, 2008 ed. Feltrinelli

 

Oggi esistono cinque specie di bambini sul nostro pianeta: il bambino cliente da noi, il bambino produttore sotto altri cieli, altrove il bambino soldato, il bambino prostituto, e sui cartelloni nella metropolitana il bambino morente la cui immagine, periodicamente, protende verso la nostra indifferenza lo sguardo della fame e dell’abbandono.

Sono bambini, tutti e cinque.

Strumentalizzati, tutti e cinque.

 

Tra i bambini clienti vi sono quelli che dispongono dei mezzi dei loro genitori e quelli che ne dispongono; quelli che comprano e quelli che si arrangiano. In entrambi i casi, poiché il denaro non è quasi mai frutto di lavoro personale, il giovane acquirente accede alla proprietà senza contropartita. È questo, il bambino cliente: un bambino che, in una grande quantità di ambiti di consumo identici a quelli dei genitori o dei professori (abbigliamento, alimentari, telefonia, musica, elettronica, locomozione, tempo libero…) accede senza colpo ferire alla proprietà privata. Così facendo svolge lo stesso ruolo economico degli adulti incaricati della sua educazione e della sua istruzione. Come loro, costituisce un’enorme fetta di mercato, muove denaro (il fatto che non sia suo non conta), ha, come i suoi genitori, desideri che devono essere costantemente sollecitati e rinnovati affinchè il meccanismo continui a funzionare. Da questo punto di vista è una figura importante: un cliente a pieno titolo.

Consumatore autonomo.

Sin dai suoi primi desideri di bambino.

La cui soddisfazione dovrebbe misurare l’amore che proviamo per lui.

Gli adulti, anche se lo negano, non possono farci molto; così va la società di mercato: amare il proprio figlio (questo figlio così desiderato che la sua nascita scava nei genitori un debito d’amore senza fine) significa amare i suoi desideri, che ben presto si esprimono come bisogni vitali: bisogno d’amore o desiderio di oggetti, uno vale l’altro, giacchè la prova di questo amore passa attraverso l’acquisto di quegli oggetti.

Il desiderio di un figlio…

Già, ecco un’altra differenza tra il bambino di oggi e quello che ero io: sono stato un bambino desiderato?

Amato, sì, nella maniera della mia lontana epoca, ma desiderato?

Che faccia avrebbe la mia vecchia mamma, di cui abbiamo appena festeggiato centouno anni (ci metto davvero troppo tempo a scrivere questo libro) se le chiedessi a bruciapelo:

“a proposito, mammina, tu mi hai desirato?”.

“…?”

“Sì, mi hai sentito bene: sono stato un figlio espressamente voluto da te, da papà, da voi due?”

Vedo il suo sguardo posarsi su di me. Sento il lungo silenzio che seguirebbe. E, visto che siamo in vena di domande:

“Di un po’, come te la cavi, tu, nella vita?”.

Se tentassi di approfondire, otterrei al massimo qualche precisazione sulle circostanze:

“C’era la guerra, tuo padre era in licenza, poi ci ha lasciati a Casablanca, me e i tuoi fratelli, per partecipare allo sbarco in Provenza con la settima armata americana. E a Casablanca sei nato tu”.

O ancora, da brava madre del Sud:

“Avevo un po’ paura che fossi una femmina, ho sempre preferito i maschietti”.

Ma sapere se fui desiderato, no. A quell’epoca e nella mia famiglia c’era un aggettivo per definire simili domande: strambe.

Bene, torniamo al bambino cliente.

E chiariamo bene le cose: descrivendolo, non tento di presentarlo come un sibarita spregevole e superficiale, né tantomeno predico il ritorno al maglione sferruzzato dalla mamma, ai giocattoli di latta, ai calzini rammendati, ai silenzi famigliari, al metodo Ogino-Knaus e a tutto ciò che fa sì che la gioventù di oggi immagini la nostra come un film in bianco e nero. No, mi domando soltanto che razza di somaro sarei stato, se il caso mi avesse fatto nascere, poniamo, una quindicina di anni fa. Non c’è alcun dubbio: sarei stato un somaro consumatore. In mancanza di precocità intellettuale, avrei ripiegato su quella maturità commerciale che conferisce ai desideri degli adolescenti la stessa legittimità di quelli dei genitori. Ne avrei fatto una questione di principio. Già mi sento: Avete il vostro computer, anch’io ho diritto di avere il mio! Soprattutto se non volete che tocchi il vostro! E loro avrebbero ceduto. Per amore. Amore traviato? Facile a dirsi. Ogni epoca impone il proprio linguaggio all’amore famigliare. La nostra prescrive la lingua degli oggetti. Non dimenticate la diagnosi di Nonna Marketing: “È in gioco la sua identità”.

Come molti bambini o adolescenti che sento un po’ dovunque, avrei saputo convincere mia madre che la mia conformità al gruppo, quindi il mio equilibrio personale, dipendevano da questo o quell’acquisto:

“Mamma, devo assolutamente avere le ultime NNN!”.

Mia madre avrebbe forse voluto fare di me un escluso? Non bastavano già i miei pessimi risultati scolastici? Era il caso di rincarare la dose?

“Ti giuro, mamma, altrimenti faccio la figura del babbeo!” (Correzione: “babbeo” è un po’ datato, faccio la figura dello sfigato e non ci sto dentro! Ai suoi tempi Michel Audiard avrebbe parlato di minchione o di bamba. “Ma’, se non mi acchiappi ‘ste fanghe quelli mi pigliano per un minchione!)

E mia madre, amorevole, avrebbe ceduto.

Ma chissà se una quindicina di anni fa sarei stato l’ultimo nato di quattro fratelli? Mi avrebbero desiderato? Mi avrebbero concesso il visto di uscita?

Questione di budget, come tutto il resto.

 

Il tempo passa…

di Andrea Bertaglio

Il tempo, forse una delle risorse più importanti al mondo. Solo chi ne ha abbastanza a disposizione, può avviare un cambiamento della propria vita. Solo chi non si fa stringere nella morsa del consumismo e del lavoro forsennato per soddisfarne le aspettative, può tornare a dedicare il tempo e l’energia necessari a cose sicuramente di maggior valore come i figli, la famiglia, gli amici, la terra, la lettura, lo studio… l’amore.

L’abbondanza di tempo può disorientare, addirittura spaventare. Siamo totalmente disabituati ad avere tempo, nonostante la presunta iper-efficienza di tutto ciò che ci circonda. Tutto dovrebbe farci risparmiare tempo, e tutto alla fin fine ce lo ruba.
Ci educano fin da bambini a non avere tempo, oggi come oggi, fra scuola, compiti, mille sport e corsi di vario tipo. Del resto, bisogna essere costantemente impegnati sin dall’inizio se si vuole essere un domani adulti produttivi ed efficienti, totalmente incapaci di fermarsi un attimo a pensare, a riflettere, e ad ascoltare.

Quante volte abbiamo sentito, o detto, mi spiace, ma non ne ho il tempo? O quante volte ce lo siamo detti?
Il tempo, questa “merce” sempre più scarsa nelle nostre vite, è ormai scambiato con i soldi necessari a comprare cose che ne hanno solitamente bisogno di ben poco per essere godute.

Il tempo che ci rimane dopo una giornata di lavoro viene spesso trascorso davanti alla televisione, che ci propina benevolmente una serie di programmi sempre più mediocri che intervallano spot pubblicitari sempre più accattivanti e spettacolari, origine di base dei nostri sempre rinnovati bisogni. Il fatto è che quando questi desideri non possono essere soddisfatti (cosa sempre più frequente in una situazione di decrescita forzata e, per il momento, ancora infelice), cresce nelle persone un sentimento di frustrazione che porta innanzi tutto a non godere di ciò che si ha, e che ci porta a fare di tutto per ottenere ciò che siamo stati letteralmente programmati per volere.

Ma, dopo una giornata di duro lavoro, mi si chiederà adesso, chi ha voglia (e tempo) di mettersi a conversare, di partecipare alla vita di comunità o anche solo di pensare? Quasi nessuno, direi. So bene in quali condizioni ci si ritrova dopo molte ore di traffico/lavoro/traffico! Ma so anche, di conseguenza, che la soluzione sta nel ritagliarsi il tempo che il lavoro (nonché la televisione e una miriade di attività più o meno inutili) ci rubano.

E qui non mi si fraintenda. La mia contestazione non è verso il lavoro in sé, nobile attività umana, quando ci permette di far vivere noi e i nostri cari decorosamente, quando ci fa pagare le tasse necessarie a garantire i servizi di base delle nostre società, quando ci permette di esprimere la nostra creatività ed il nostro potenziale. La mia critica è rivolta a due tipi di lavoro in particolare: il lavoro forsennato come fuga da se stessi, e il lavoro forsennato come mezzo per soddisfare bisogni che siamo stati indotti ad avere, e che molto probabilmente non avremmo mai sentito di nostra spontanea volontà.

Che fare, quindi? Con i figli da mantenere, il mutuo sempre più caro da pagare ecc ecc, come si può uscire da questa spirale che ci tiene prigionieri? Beh, innanzi tutto riducendo i nostri bisogni. Come? Rendendoci conto di cosa è veramente importante (i figli e la casa, piuttosto che un’auto nuova ogni anno o un cellulare ogni tre mesi). E come ci si può rendere conto di cosa è veramente importante? Fermandoci a riflettere. Ma per potersi permettere ciò? Se ne deve avere il tempo.

È un circolo virtuoso delle proprie scelte e della propria vita quello che si deve avviare.
Difficilissimo da mettere in pratica, ma possibile. E forse indispensabile.
www.decrescitafelice.it

Ascanio Celestini – I principi dell’economia

Ah, i nostri nonni…

La Rivoluzione che ci spetta e c’aspetta passa da: un uso razionale della tecnologia volto alla felicità di uomo e ambiente e non sottomissione di ambiente all’ uomo e uomo a profitto, e ad antica saggezza contadina.

Se hai un secchio che perde, cosa fai? Ti fermi il giusto tempo che ti occorre per ripararlo o alzi sempre più forte il getto dell’acqua per tentare di continuare a riempirlo?

 

Galbani vuol dire fiducia…

Una struttura sociale organizzata per sfamarci, ammalarci e curarci in nome della crescita economica, del PIL. Una struttura sociale così schiava dell’economia da relegarci al mutismo e all’omertà pur di farci guadagnare il necessario per vivere. E’ il progresso, lo sviluppo. Ha un paladino nello stivale questa deformazione dell’essere e del sentire, il suo Premier e le sue idee, l’opposizione e le sue idee, il Veltrusconismo. Il loro popolo è lo specchio di quel che dicono, di quel che sognano, di quello cui ambiscono: la CRESCITA. E Matrix non è un film di fantascienza ma è il mondo in cui viviamo perché niente è come sembra.

Il problema dov’è? Chi è? Cos’è? Sono le multinazionali? Il Bildenberg? Il colonialismo? Le banche? Il signoraggio bancario? Il petrolio? Le mafie? La co2? La P2? Il global warming? Le massonerie? Le società segrete?

Se non vi siete persi battete un colpo, qui ci sono un paio d’orecchie che hanno voglia di capire!

L’unica cosa che realizzo è che: “Bisogna diventare ignifughi alle cazzate!” perché il problema sta nella paura, nei modi di inculcarla, perpretrarla e curarla. E l’unica soluzione possibile è creare una vera rete di socialità. Ripensare l’uomo ed i problemi che le sue debolezze creano.

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Sul sito web di Repubblica, in un ottimo articolo a firma Paolo Berizzi, vengono resi noti gli sconcertanti sviluppi di un’indagine partita nel 2006 e portata avanti dalla guardia di finanza di Cremona grazie a quelle intercettazioni che giornalmente vengono messe sotto accusa quasi si trattasse del più grande problema che affligge questo disgraziato Paese.
Nonostante in Italia le frodi alimentari siano ormai all’ordine del giorno e cambiare il cartellino dei prodotti scaduti all’interno degli ipermercati stia diventando quasi una consuetudine, le dinamiche della truffa da parte che di quelli che Berizzi definisce giustamente “banditi della tavola” sono tali da riuscire a turbare profondamente non solo le persone deboli di stomaco.
L’impresa criminale che faceva capo a 4 aziende con sede a Cremona, Novara, Biella e Woringen in Germania, tutte riconducibili all’imprenditore siciliano Domenico Russo, ed era punto di riferimento per marchi come Galbani, Granarolo, Cademartori, Brescialat, Medeghini, Igor, Centrale del latte di Firenze, Frescolat, Euroformaggi, Mauri, Prealpi ed altre multinazionali europee, operava anche grazie alla connivenza delle Asl di competenza riciclando con l’ausilio di molta creatività gli scarti di formaggio avariato che avrebbero dovuto essere smaltiti.
Tali scarti, spesse volte forniti proprio dai grandi marchi di cui sopra, consistevano in formaggio avariato e putrefatto all’interno del quale si poteva trovare di tutto: vermi, escrementi di topi, pezzi di ferro, residui di plastica tritata, muffe ed inchiostro. Il materiale marcescente e maleodorante anziché venire smaltito subiva tutta una serie di lavorazioni che lo portavano a tornare sugli scaffali di discount ed ipermercati (spesso attraverso quegli stessi marchi che lo avevano venduto come rifiuto) sotto forma di sottilette, formaggio fuso, formaggio grattugiato, mozzarelle, gorgonzola ed altre specialità casearie che venivano vendute come prodotti genuini ai consumatori.
La truffa nell’ambito della quale il gruppo Lactalis Italia che controlla Galbani sembra avere pesantissime responsabilità, non ha coinvolto solo l’Italia ma si è sviluppata a livello europeo, arrivando a produrre la lavorazione di oltre 11.000 tonnellate di formaggio avariato a fronte di un business economico di enormi proporzioni. Decine risultano essere le persone indagate e denunciate per un’attività criminale che oltre a produrre profondo disgusto ha determinato pesantissimi rischi per la salute pubblica.
Come ultima nota disarmante in questa scioccante vicenda va sottolineato il fatto che gli impiegati e gli operai delle ditte incriminate hanno verbalizzato di essere a conoscenza della situazione ma si sono guardati bene dal renderla pubblica, molto probabilmente per non rischiare di mettere a repentaglio il proprio posto di lavoro.
Riesce difficile chiamare “progresso” la costruzione di una società all’interno della quale si corre il rischio di mangiare inconsapevolmente poltiglia marcescente per compiacere le multinazionali e ci si trova “costretti” a diventare complici di una banda criminale che avvelena i nostri simili per “mantenere” uno stipendio che ci consenta di sopravvivere un gradino sopra la soglia di povertà. Così come riesce difficile concepire un progresso che rischia di toglierci ogni dignità, anestetizzando la nostra natura umana e trasformandoci in ingranaggi della macchina di produzione e tubi digerenti di un consumo che tende a farsi sempre più escrementizio.

Marco Cedolin

Il link dell’articolo di Paolo Berizzi:

http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/cronaca/truffa-roma/truffa-formaggio/truffa-formaggio.html

 

Perché?

Obsolescenza pianificata che parolone difficile! Ma il concetto è semplice semplice, lo capisce anche un bambino, ma un imprenditore e un politico no…

Mi ha scritto un giovane, in cerca di risposte su come attuare pratiche di decrescita nella propria vita, cambiare lavoro per lavorare un po’ meno, guadagnare un po’ meno e avere più tempo per vivere. Ogni tanto vengo scambiato per un guru, per un saggio, in realtà sono solo uno che cerca…

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Ciao A.,

 soluzioni definitive non ne ho. Soluzioni definitive non ne esistono, si prova, si vede come va e si fanno le scelte. È vero che spesso per come è organizzata la società non si possono fare passi falsi perché c’è dietro qualcuno pronto a tritarti.

Sono orgoglioso che quel che scrivo e metto in pratica arrivi a qualcuno, grazie!

Di concreto non posso fare niente per te, non sono un profeta, e tanto meno un ciarlatano, sono un ragazzo come te. Ho trentatre anni, una meravigliosa compagna, un figlio splendido ed un altra Piccola/o in arrivo. Semplicemente abbiamo cominciato a farci domande, su tutto, su come funzionano in primis le persone e i loro rapporti, poi le cose, quindi l’essere e l’avere. Viviamo in un sistema che monetizza tutto, quando i soldi in realtà erano l’invenzione geniale per non portarsi appresso gigantesche quantità di merci e beni. Poi sono diventati il motore sociale che stimola le persone a produrre, soppiantando così l’amore. Quante cose “a gratis” hai fatto per tua mamma, per tua sorella, per i tuoi amici, e a volte per degli estranei. Ma è una logica talmente semplice e immediata che è stata stravolta creando bisogni, sogni, ambizioni e aspettative che concentrano il loro interesse sull’acquisto per aumentare fatturati e capitali anziché pensare davvero alle persone, alla natura delle cose e ai loro bisogni. Posso solo dirti che se queste parole ti entrano profondamente dentro non hai più bisogni ma una fervente necessità: fare quel che devi. Apri l’armadio e ti senti forte perché hai un sacco di vestiti per coprirti e non ti manca più di comprarne uno nuovo per sentirti più figo, più degno. Ciò che ti rende figo è aver voglia di imparare, di scoprire, di condividere e amare per avere più tempo per vivere, anzi per vivere proprio! Perché produrre non è vivere…

Belle parole eh!!? Più difficile è passare dalle parole alla pratica… La pratica te la inventi e la realizzi stando attento a quel che compri, domandati: “Mi serve veramente? Mi sta migliorando l’esistenza? O sto comprandomi il vuoto che ho dentro in questo momento?”

Mi trovo anche io nella tua condizione di fare un lavoro che non mi va troppo a genio ma la società è strutturata così e il cammino verso la decrescita dev’essere graduale, bisogna che la gente cominci a capirlo che si vive meglio con meno cose intorno ma con più tempo per vivere, se no se succede di botto è tristezza e impoverimento.

Cosa puoi fare? Puoi organizzare un GAS (Gruppo d’acquisto solidale) coi tuoi amici e/o vicini di casa; puoi organizzare degli incontri di autoproduzione per imparare a produrti alcuni beni che di solito compri, puoi condividere nel tuo condominio le cose che potrebbero essere di tutti cassetta degli tipo attrezzi, trapano, ferro da stiro; puoi organizzare cene nelle quali parlare di queste cose e mettere in moto tutte queste iniziative che costruiscono solidi e concreti spazi di felicità condivisa e condivisibile. Puoi essere l’esempio vivente che le tue idee messe in pratica ti fanno stare meglio, e fanno stare meglio chi ti sta intorno, solo così, apprezzando l’esempio, anche altri lo troveranno conveniente e cambieranno. Con leggerezza A. mi raccomando, quante volte mi sono scontrato perché le mie idee erano meglio… mannaggia ammé e alla mia capa troppo dura… Sono sicuro che tu saprai fare di meglio!

Mi dispiace, non ho la bacchetta magica… sono come te e come chiunque altro, uno che cerca di stare meglio, solo che la nostra società propone ed impone gare e lotte, la selezione del migliore, che però avrà assaggiato un solo gusto nella vita, io dico che se invertiamo questa logica viviamo tutti meglio e con più gusto, perché le risorse e lo spazio per stare tutti meglio cazzo se ci sono!

 

Buona fortuna!

 

GengisGas a tutta birra!

Indovinate dov’è la lista della spesa!!?

Allora lunedì prossimo si parte con gli incontri di autoproduzione?

Vi ricordo che i nostri incontri saranno parte fondante di un video-libro che ho tutta l’intenzione di scrivere insieme a voi:

“Autoproduzione – Nessuno farà per te quel che nemmeno tu vuoi fare”. Ovvero l’uso intelligente della tecnologia e dell’antico buon senso contadino: dal pesto alla genovese, alla corrente elettrica. Dalla felicità passando per internet, alla produzione domestica di birra. Dalla coltivazione di marijuana che sconfigge le mafie, alla costruzione di mobilia e suppellettili. Dal farsi un libro, al girare un film. Dall’incidere un Lp, al portare in scena uno spettacolo teatrale. Dalla coltivazione sinergica di un orto che così diventa quasi autosufficiente alla preparazione di detergenti per l’igiene intima e la casa. Ricette, consigli e motivazioni per cui cimentarsi con le proprie mani in prima persona e non rimaner solo spettatori e acquirenti. Come modificare l’economia partendo dai propri reali consumi e dalle proprie capacità. Creando una rete di scambio che faccia circolare sapere e conoscenza al posto dei soldi. E porti all’estinzione dei ricchi, categoria sociale inferiore ed inutile che non sapendo far nulla se non impartire ordini e rubar vite in cambio di qualche soldo, si auto annientò come i Dodo de “L’era glaciale”. La riscopertà della felicità insomma, se no anche quella continuerà a sembrarci un bene da comprare. Passare dal dire al fare, per costruire Piccoli spazi di Felicità condivisibile!

Promuoveremo l’Autoproduzione, far vedere, spiegare e capire come si fa, per far circolare la cultura del saper fare con le proprie mani, con la propria esperienza e con la propria fantasia. Perché quello che manca al cittadino oltre ad uno spazio vivibile e condivisibile, è proprio l’aver perso l’attitudine e l’abitudine al fare. O meglio si fa qualsiasi cosa ma per guadagnare denaro ma non per crescere come individui, persone, anime, pezzi di ossa, muscoli, liquido e aria fatti di spirito oltre che materia. Ma vi siete mai accorti che naso e orecchie continuano a crescere? Guardate la faccia di una persona anziana, sono le uniche parti della donna e dell’uomo che non smettono mai di crescere! Forse perché son curiose. Curiose di sentire e d’annusare. Allora gli adulti devono prenderle ad esempio perché studiano, fanno sport e giocano da bambini, nell’adolescenza e fino la prima giovinezza ma poi smettono, non afferrando che smettendo cessano d’imparare e diventano vecchi. E l’allungamento del naso e delle orecchie è la manifestazione fisica della primordiale gioia di scoprire, curiosare, sentire, annusare. Non si smette mai di crescere, ricordatevelo! Io adesso me lo segno sul taccuino, così me lo ricordo anche domani!

 

La storia delle cose

Obsolescenza pianificata

 

Disintossicarsi dal consumismo, anche l’arte è figlia della decrescita!

Intervista con Maurizio Pallante di Davide Pelanda
Tratta da Megachip

«Siamo tossicodipendenti della crescita e del consumo, siamo stati colonizzati nel nostro immaginario, abbiamo subito l’economicizzazione del nostro spirito: e i nuovi profeti ci colpevolizzano se non siamo sufficientemente calcolatori. Ma i drogati, si sa, sono vittime con la tendenza a continuare ad assumere la droga e non a curarsi. Sono le multinazionali come la Nestlé o la Total che finanziano i modi per impedire che noi, drogati del consumo, possiamo curarci». E’ l’“eretico”, il francese Serge Latouche, padre della decrescita che parla. E c’è chi condivide anche in Italia.

«Penso che Latouche abbia completamente ragione, dice Maurizio Pallante, presidente del Movimento per la Decrescita Felice in Italia (www.decrescitafelice.it) e che attualmente svolge un’attività di ricerca e divulgazione scientifica sui rapporti tra ecologia, tecnologia e economia. Anzi molte delle cose che lui ha detto sono di una importanza fondamentale. In particolare l’esigenza di porre la decrescita a fine dell’attività economica e produttiva è un concetto che rompe con uno dei fondamenti delle società industriali avanzate. E’ un concetto che non viene accettato perchè non viene fondamentalmente compreso.

Ho letto una critica che fa Piero Bianucci all’ultimo libro di Latouche in cui dice, in un esempio iniziale, che i bambini crescono e gli alberi crescono. Però non ha l’onestà intellettuale di dire che gli adulti non crescono più e che gli alberi, da un certo punto in avanti, non crescono più. Non è che la crescita è un fattore di qualità, lo può essere in certe condizioni. Mentre invece l’unica crescita che prosegue senza limitazioni è quella tumorale».

Ma che senso ha allora parlare di descrescita? E’ utopia? Va contro il Progresso?
«Bisogna saper distinguere che cosa significa realmente progresso e che cosa ci hanno fatto credere che esso significhi. Se come progresso si intende la capacità di accrescere in continuazione la quantità di oggetti materiali e di merci che consumiamo, allora questo è un falso progresso, come diceva già Pasolini. Se invece per progresso si intende un miglioramento delle condizioni di vita generalizzato e tendente ad allargarsi per tutta l’umanità non è possibile proseguire con questo modello: occorre saper distinguere tra i beni (cioè degli oggetti) ed i servizi che rispondono alle esigenze reali degli esseri umani e le merci che invece rispondono all’esigenza del Prodotto Interno Lordo ed all’esigenza di farlo crescere sempre più. I due valori non omogenei. Si può avere un aumento della produzione di merci e una riduzione della qualità della vita».

Ovunque sentiamo parlare di Pil, Prodotto Interno Lordo che dobbiamo far crescere per migliorare la nostra qualità di vita. E’ vera allora l’equazione più soldi=più ricchezza= più benessere?
«No, non mi risulta. Assolutamente. Perchè questo concetto non distingue tra l’idea di bene e l’idea di merce. I beni sono degli oggetti, dei servizi, che migliorano le condizioni di vita degli esseri umani, le merci sono degli oggetti e dei servizi che vengono scambiati con denaro. Il Prodotto interno lordo misura la quantità delle merci ma non verifica se le merci sono dei beni o meno. La capacità di distinguere tra i beni e le merci è fondamentale. Esistono delle merci che non sono beni ed esistono dei beni che non sono merci.

Due esempi: una casa malcostruita per essere riscaldata ha bisogno di 20 litri di gasolio al metro quadrato all’anno. Essa fa crescere il Pil più di una casa ben costruita che ne ha bisogno solo di 7 litri o addirittura meno. Tutta l’energia in più, che nel caso nel rapporto tra una casa da 20 e una casa da 7 litri è di due terzi, è una merce che fa crescere il Pil ma non è un bene perchè si disperde a causa della cattiva coibentazione dell’edificio. Abbiamo quindi una crescita del Prodotto Interno Lordo ma un peggioramento delle condizioni di vita: una casa che consuma 20 litri manda in atmosfera i due terzi di CO2 in più rispetto allo stesso edificio ben costruito.

Esistono anche beni che non sono merci e che non fanno crescere il Pil. Pensiamo ai beni, oggetti e servizi autoprodotti donati per amore: non vengono scambiati per denaro, non fanno crescere il Pil ma soddisfano delle esigenze umane in maniera molto migliore rispetto alle merci equivalenti».

Noi, consumatori grassi e tristi che sperperiamo ovunque; voi fedeli alla Decrescita ed al ritorno alle antiche abitudini contadine di un tempo, forse bucolica, felici e contenti. E’ così? Come si può fare affinchè anche i ricchi e sfrenati consumisti siano felici e non tristi?
«Questa cosa non è affatto bucolica, a parte che non c’è niente di negativo vivere in un ambiente sano, naturale. Ma se in questa maniera si pensa di ridicolizzare una aspirazione di un ritorno ad un passato mitico, siamo veramente fuori strada. La decrescita è felice perchè la riduzione della produzione del consumo di merci che non sono beni è un fattore che porta felicità. Essa richiede però più tecnologie rispetto ad una società basata sullo spreco delle risorse. In una casa che consuma 7 litri di gasolio per metro quadro, come dicevo in precedenza, si sta meglio fisicamente in quanto, non disperdendo il calore, le pareti sono calde e il nostro corpo è molto sensibile a quel calore più ancora di quanto non sia sensibile al calore dell’aria della stanza. Ci vogliono dunque tecnologie più avanzate che ci consentano di costruire case che consumano di meno, che ci facciano stare meglio, ci facciano essere più felici e contribuiscano a ridurre l’effetto serra. Esse quindi diventano un fattore, per quanto piccolo che sia, di miglioramento del benessere collettivo».

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Sarebbe interessante approfondire perché il “popolo” non capisce la Decrescita. Che poi non la capisce solo perché ha davanti agli occhi il sogno di diventare ricco, perché il mondo è una grande terra di conquista e non un regalo da rispettare. Un giorno approfondiamo, e comunque di certo essere poveri è sconveniente, il ricco può scegliere, il povero obbedisce.

Intanto permettimi di dirti che “l’arte” è frutto della decrescita. E già che ci sono ti regalo anche una poesia, figlia dell’arte, spero, frutto della decrescita, appunto!

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Parte con un raccontino strampalato:

…per la terza volta confermovi ed ho una serie infinita di testimoni ed un vissuto alle spalle che parla per me, dicente a voce chiara, forte e ben distinta che “sì, son proprio tutto scemo!” L’approcio al teatro e alla scrittura son solo una veicolazione dell’immenso patrimonio di deficienza sviluppato dalle sinapsi encefaliche datemi in permuta. Tento di veicolare perché qua nel mondo di fuori, di quelli che fanno affari, studiano, verticalizzano e massimizzano i profitti, dicono che i talenti vanno fatti fruttare. Ma io in cuor mio e colle punte delle dite battenti su questi cubettini intrisi di corrente vi dico che vedo fruttare solo merda. Forzature. Mica arte! E messo a verticalizzare faccio una cazzo di fatica… “Contestualizza stronzo!” Così mi dico, ma ammé mica mi piace far tutta sta cazzo di fatica! Alla democrazia preferisco una dittatura che mi lasci libero di fare quel cazzo che voglio quando minchia ne ho bisogno, ma forse sarebbe stucchevole. Nel mentre scorreggio, spernacchio e sputo. Mi gratto il culo quando serve e se mi fate girare le minchie vi mando pure affanculo! L’arte sta nell’estemporaneità della scorreggia. L’arte sta nel verso inconsueto e incomprensibile per chi va solo dritto. Il resto son cataloghi da sfogliare per scegliere come comporre il pezzo. Che cazzo vengo a fare a teatro? È più divertente vivere!

Scusate lettori telematici, non c’è contesto, e senza contesto non si capisce una mazza… ve lo spiego brevemente. Quel che avete letto poc’anzi, era una risposta ai miei compagni del teatro. Era un tentativo di uscire dal terreno protetto della finzione, teatro, dove si può dire qualsiasi cosa passi per la testa, copione. Il tentativo di portare lo spazio protetto del teatro nella vita. La semplice rivendicazione dell’arte. Quello che faccio tutti i giorni su questo spazio fatto di micro cip e fibre. Che per alcuni non è arte solo perché non remunerata, per il mio concetto e la mia ricerca di arte invece è proprio Arte perché NON remunerata! Perché libera di dire quello che vuole, quello che deve. Comunque non turbatevi, ancora poco e potrete pagarmi!

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L’Arte

 

L’arte sta nel piacere della cazzata.

Nell’abbandono del cervello razionale all’istinto.

E se ci metti cervello e studi,

poi devi tagliare e tagliare,

togliere e denudarti di tutto il nozionismo inutile

per tornare all’istinto, al primordio,

allo stupefacente, allo spontaneo,

al semplice ed immediato.

L’arte non va capita.

L’arte va lasciata andare.

L’arte va lasciata stare.

L’arte non va imparata e nemmeno incanalata,

quella è merce, l’arte si perde.

L’arte, l’arte…

è un percorso per conoscersi o per perdersi

ed io, me la sono giocata a carte.

 

Arcano Pennazzi – L’Arte – Editrice “non c’è ancora”… tra poco c’è!

 

Decrescita o impoverimento?

di Marco Cedolin

La stima dell’indicatore dei consumi di Confcommercio (Icc) resa nota oggi mette in evidenza un calo dei consumi dello 0,7% nel primo trimestre del 2008, mentre lo scorso mese di marzo registra un -1,7% rispetto al marzo 2007. I risultati di un’indagine condotta dal Dipartimento di sociologia economica dell’Università di Messina, pubblicati su Repubblica, raccontano di “un’inflazione reale” più che raddoppiata nel corso degli ultimi 4 anni.

Come conseguenza di una situazione sempre più drammatica, in questa Italia che anziché rialzarsi, secondo i dettami degli spot elettorali, sta affossandosi sempre più sulle ginocchia, le famiglie italiane in crescente difficoltà stanno cambiando le proprie abitudini. Ripiegano per i propri acquisti sui negozi cinesi (soprattutto per quanto concerne l’abbigliamento) e scelgono prodotti di scarsa qualità, fanno scorte alimentari seguendo le offerte promozionali dei discount e coltivano il pezzo di terreno ricevuto in eredità dal nonno per avere frutta e verdura di buona qualità a basso costo.

Molte volte quando scrivo o parlo di decrescita, qualcuno di fronte al progressivo impoverimento delle famiglie italiane sottolinea che la decrescita è già in atto e non si tratta in fondo di una gran bella cosa. Confondere l’impoverimento con la decrescita è un atteggiamento abbastanza comune e tutto sommato comprensibile per chi non abbia approfondito l’argomento ma rischia di creare una confusione di fondo in grado di far perdere ogni coordinata.

L’impoverimento e la decrescita non hanno nulla in comune, anche se una delle tante risultanti di entrambe le situazioni può essere costituita dal ritornare a coltivare l’orticello ereditato dal nonno, pratica comunque virtuosa in sé a prescindere dalle motivazioni che hanno indotto la scelta.

L’impoverimento è una situazione imposta dalla congiuntura economica che determina un decadimento del benessere individuale. L’impoverito è costretto ad acquistare merci a basso costo di qualità scadente, importate da paesi a migliaia di km di distanza. L’impoverito deve basare la propria alimentazione sulle offerte promozionali dei discount, a fronte di viaggi in auto alla ricerca della promozione più alettante e di prodotti che spesso arrivano da molto lontano, dalle dubbie qualità sia sotto l’aspetto organolettico sia dal punto di vista nutrizionale. L’impoverito è costretto ad operare delle rinunce che mettono a repentaglio il suo benessere e la qualità della sua vita, solamente al fine di ottenere un risparmio monetario che possa permettergli di sopravvivere.

La decrescita (a prescindere dal fatto che si tratti di quella teorizzata da Serge Latouche o di quella “felice” praticata da Maurizio Pallante) non mira a diminuire il benessere delle persone, ma al contrario si propone di migliorarlo ed accrescere la qualità di vita dell’individuo.

La decrescita non passa attraverso l’impoverimento, tenta semplicemente di ridurre la dipendenza delle persone dall’economia rendendole più libere ed autosufficienti senza deprivarle assolutamente del loro benessere.

La decrescita pretende la ristrutturazione degli edifici in funzione del loro rendimento energetico, creando in questo modo posti di lavoro e risparmi dei consumi. La decrescita persegue il miglioramento della rete di distribuzione dell’energia, un miglioramento in grado di creare occupazione e taglio degli sprechi energetici. La decrescita privilegia la filiera corta ed i prodotti locali in un’ottica di ridotta movimentazione delle merci, risparmio economico e miglioramento della qualità degli stessi. La decrescita non mira a ridurre il potere di acquisto dei salari ma al contrario intende integrarlo attraverso l’autoproduzione, lo scambio ed il dono che permettono di ridurre il numero di beni dei quali è necessario l’acquisto sotto forma di merci. La decrescita si oppone alla società globalizzata dove persone sempre più povere sono costrette ad acquistare merci sempre più povere (il cui costo è determinato in larga parte dal loro trasporto inquinante per migliaia di km) e propone una società a misura d’uomo dove sia possibile riscoprire il senso della comunità, ricostruire rapporti conviviali, privilegiare la qualità alla quantità ed al gigantismo. La decrescita vuole ridare un senso al lavoro interpretandolo come valorizzazione delle qualità dell’individuo, del suo estro e della sua creatività finalizzato a “creare” qualcosa di utile, in netta contrapposizione con lo svilimento attuale del mondo del lavoro, costituito in larga parte da pratiche ripetitive e meccaniche di scarsa utilità (i call center rappresentano un esempio su tutti) in grado di produrre solo alienazione e salari insufficienti a garantire una sopravvivenza dignitosa.

L’impoverimento rappresenta semplicemente il futuro di un modello di sviluppo basato sulla crescita infinita dei consumi che nel momento in cui i consumi cessano di crescere inizia a creare esclusione sociale e precarietà, esattamente il contrario della decrescita che si muove per evitare che tutto ciò accada.

Regali ai bimbi e auguri sconnessi…

 

Giornata di regali l’odierna, da apprendista papà provetto mi regalo tre preziosi concetti estrapolati qua e là dal quotidiano:

 

1° Riempire i bambini di regali è diseducativo perchè li induce a chiedere sempre di più e a valutare l’affetto dei genitori in base alla quantificazione materiale dei beni ricevuti, i regali superflui inducono nei piccoli sempre nuovi bisogni falsati ed avulsi dalla realtà.

Allora per i compleanni e i natali abbiamo pensato al gioco di impacchettare a Papo dei giochini che ha già. E vediamo che faccia fa? Comincia proprio adesso, a due anni, a capire cosa sono giochi e regali. Non gli interessa il valore, ciò che interessa gli adulti, lo colpisce la sorpresa, la novità, ciò che lo spiazza. Per lui è gioco un cucchiaio che diventa microfono, e canta in playback “Oh, Diana” di Celentano, sono gioco le sue gambette flessibili come molle, la sua voce che scopre parole e parolacce, la vita è un gioco ed un bimbo è un’incredibile artista! Recita, canta, suona, balla, dipinge, vive nel meraviglioso mondo della FANTASIA!

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2° Siamo scimmie Anna… guarda Tommy e Papo crescono imitando quello che vedono. E’ per questo che devono avere dei buoni modelli. Da buona scimmia quale sono ho scritto esattamente come ho pensato avrebbe fatto Morbidezze. E’ anche un esercizio di scrittura: scrivere un pezzo di un libro che piace e poi andare avanti inventando. Andando avanti si crea un proprio stile. E se c’è, vien fuori il talento. Nella vita facciamo più o meno la stessa cosa: osservando prima i nostri genitori, poi gli amici, il cinema, la tv e quel che leggiamo, creiamo, più o meno consapevolmente, la nostra personalità. Rimangono le contaminazioni ed è interessante considerare quanto c’è in noi di noi stessi, quanto abbiamo approfondito e quanto siamo cresciuti, e quanto invece c’è dell’educazione e degli esempi che a 20, 30, 50, 80 anni non abbiamo ancora metabolizzato e continuiamo a fare proprio così come ci son caduti dentro o come ci hanno “inculcato”. E il talento? Se nessuno te ne parlerà mai resterà per sempre quella meravigliosa intuizione che sprizza tra la testa ed il cuore quando avrai da risolvere faccende che testa e cuore da sole non riescono a risolvere. Educare alla libertà, fornire i mezzi per crescere e non solo per ubbidire, questo è un bell’impegno per noi giovani genitori! Sulla forma del naso, le dimensioni del pisello, ed il colore dei capelli ha già compiuto il suo miracolo la natura levandoci dall’impaccio di scegliere se s’abbinasse meglio il verde col rosa o il blu col marrone. Metti che non sceglievamo colori abbastanza trendy!!? Su quello che sarà il nostro futuro possiamo metterci un po’ del nostro tatto. Come al mio solito son ricascato nel baratro di spiegarvi le barzellette, scusate! Come son noioso…

Grandi leccate a tutte!!

Arcacchio

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3° chiudo con una poesia di K. Gibran (Grazie a Massi che me l’ha fatta conoscere):

“I vostri figli non sono vostri.

Sono i figli e le figlie della fame

che la vita ha di sé stessa.

Essi non vengono da voi, ma attraverso di voi,

e non vi appartengono, benché viviate insieme.

Potete amarli,

ma non potete costringerli a pensare come voi,

poiché essi hanno i loro pensieri.

Potete custodire i loro corpi,

ma non le loro anime,

poiché abitano in dimore future

che neppure in sogno voi potete visitare.

Proverete a imitarli,

ma non cercate di renderli simili a voi.

Voi siete gli archi da cui i figli,

le vostre frecce vivono,

vengono scoccate lontano.

In gioia siate tesi nelle mani dell’Arciere.”

Il Profeta

 

Lo zio Silvio cresce all’infinito ma c’è chi gli ricorda che non è possibile e siamo già al collasso

COMUNICATO STAMPA DEL MOVIMENTO PER LA DECRESCITA FELICE

Berlusconi sbaglia. Non c’è più spazio per crescere.

Apprendiamo dai mezzi d’informazione che “crescita” è la parola chiave del discorso con il quale Silvio Berlusconi ha chiesto alla Camera la fiducia al suo quarto governo.

Al Presidente del Consiglio vogliamo ricordare che sono già cresciuti a dismisura gli indicatori ambientali e sociali che suggeriscono, invece, un deciso cambio di rotta nella direzione di una riduzione drastica dei consumi.
Sono cresciuti i rifiuti urbani del 12% negli ultimi 5 anni fino a raggiungere i 32 milioni di tonnellate/anno nel 2006.
È cresciuta la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera fino alle 390 parti per milione – negli ultimi 650.000 anni non aveva mai superato le 300 parti per milione.
Allo stesso tempo crescono le temperature medie del pianeta e i fenomeni climatici estremi crescono in numero e intensità.
È cresciuto il livello di inquinamento delle nostre città e il numero di persone, soprattutto bambini, che si ammalano a causa della cattiva qualità dell’aria.
È cresciuta la percentuale di terreni agricoli desertificati a causa dell’agricoltura chimica e intensiva, fino al 27%, un terzo del totale.
È cresciuta l’impronta ecologica degli italiani: oggi consumiamo 2 volte e mezza le risorse naturali che un territorio grande quanto l’Italia sarebbe capace di produrre.
È cresciuto il prezzo del petrolio, fino a superare i 120 dollari al barile.
È cresciuta la disoccupazione e la precarietà del lavoro contemporaneamente alla crescita della globalizzazione dei mercati e dell’economia.
È cresciuta la disoccupazione anche in seguito all’introduzione di impianti altamente automatizzati come gli inceneritori di rifiuti – l’inceneritore di Brescia occupa una decina di persone a fronte di un investimento di 350 milioni di euro, il centro di riciclo di Vedelago (TV), ne occupa 64!

E’ impossibile crescere ancora senza compromettere definitivamente la qualità della nostra vita: non c’è più lo spazio fisico per proporre, come si fa da decenni, una crescita infinita e senza limiti.
C’è, invece, lo spazio per migliorare il nostro benessere attraverso una drastica riduzione dei nostri consumi, che in gran parte sono sprechi.
Per produrre e consumare energia elettrica, sprechiamo la metà dei combustibili fossili che importiamo. Il 40% dei nostri rifiuti sono imballaggi che sprecano plastica, vetro, carta, metalli. Le nostre case sprecano oltre il 70% dell’energia usata per il riscaldamento.
Crescere ancora significherebbe soprattutto far crescere ancora questi ed altri sprechi.
Ridurre i consumi significherebbe, invece, creare nuove occasioni di lavoro nell’industria della riduzione dei rifiuti, del riciclaggio, dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili di energia, ma significherebbe anche migliorare la qualità dell’aria, dell’acqua, del territorio e, in definitiva, della vita.

La qualità della nostra vita non dipende da quante merci riusciamo a consumare. Al contrario, ridurre l’invadenza delle merci e dei consumi nella nostra vita è l’unico modo per migliorarne la qualità: siamo giunti a un tale livello di spreco che qualsiasi attività umana può essere fatta con minore impiego di risorse naturali, minori scarti e minore inquinamento.
Si tratta di una riflessione che il proponiamo all’intera classe politica italiana per sollecitare un cambiamento
epocale di cultura e mentalità oggi più che mai necessario.

Il Movimento per la Decrescita Felice

Carlo Franceschelli
Segreteria organizzativa
Associazione Movimento per la Decrescita Felice
Via Fantinoli 50
00047 Marino (Rm)
Orario segreteria lun-ven 9-12
Tel. 0693896741/Fax 04220247164/Cell. 3408325385
Email segreteria@decrescitafelice.it
Sito web http://www.decrescitafelice.it
indirizzo skype: SegreteriaMDF

 

Un voto in più…

http://it.youtube.com/watch?v=s6o86AnvE4w

 

Devo però tristemente ammettere che questa è la canzone che sbaraglia tutta la concorrenza in questa campagna elettorale. Complimenti Claudio!

Domenica, oggi, il giorno del giudizio. Non si scherza più, oggi l’idea prende peso, semplicemente con una “X” messa nel punto giusto. Voto, non voto, l’unico voto utile è il non voto? Se annulli, annula bene, accertati che non vada a far peso per la maggioranza. Ma qualcuno vince uguale, e poi governa. Allora meglio votare il meno peggio? Ma il meno peggio è comunque scegliere peggio. Qualcosa che mi pare abbia proprio le fattezze del meglio, l’ho visto e l’ho sentito, il solito Prof. Montanari. In quanti lo voteremo? In un paio di migliaia se siamo tanti? Che faccio?

Cazzo che ansia! Cambierà davvero qualcosa la mia crocetta? Sono contro TAV, contro privatizzazione dell’acqua, contro inceneritori, contro le grandi opere, sono contro sto cazzo di mondo che va al contrario! Contro Veltrusconi, e in parte contro La sinistra e pure contro L’arcobaleno. 

Vado al seggio e lo dico con la mia “X”! Davvero? Non ci credo troppo… credo sempre di più e sempre più fermamente che solo costruendo, anzi spesso decostruendo, davvero faccio quel che devo.

Centro, Destra e Sinistra, purtroppo ci si capisce solo chiamandoli ancora così, sono comunque tutti per la crescita economica, fondano le loro basi sul PIL, sull’economia alla Bubka che ha portato il pianeta al collasso e noi uomini a non aver più un’ anima. Ci stiamo accartocciando su noi stessi come un contorsionista sadico che s’infila la sua testa su per il suo culo. “Ma quanto ci piace!” No, sto diventando triste, palloso, ma anche ieri sera a fa la cosa giusta tutti interessati a vendere e comprare se no non si sta in piedi, non si fa impresa, non si cresce, non ci s’evolve, non si mangia… “Siamo figli di questo tempo, mica vorrai tornare all’epoca della pietra?” Ci ricompriamo a rate l’anima, quella del commercio, la pubblicità, è quella la realizzazione che si vende alla tv, sul giornale, su… per il culo. E’ ora di tapparlo il buco, passare ad un economia che si fondi sull’utilità e la sostenibilità, non sullo spreco e sulla quantità di merci inutili. Come si fa? Legiferando sulla stronzaggine umana? Ponendo limiti e veti perché da soli non si riesce a capire che è meglio consumare quello che è locale senza imballi e km di viaggio. Ehi, amici pavoni non è ora di riscoprire la muscolatura profonda? Muovere un puo’ il muscolo pubo cocigeo e non farci operare tutti di prostata intorno alla sessantina? Ehi, pavoni non è ora di tornare a fare un po’ di moto? Siamo tutti così grassi perché ci siamo evoluti muovendoci, non stando seduti alla scrivania. Ehi, pavoni non è ora che mangiamo un po’ di zucchero in meno e riscopriamo il sapore del cibo? Finché la nostra unica risorsa è il market… 

Cazzo è domenica e c’è il sole, la smetto di martoriarmi gli zebedei!!? E’ solo costruendo piccoli spazi di felicità che posso dialogare, essere ascoltato se ho qualcosa di interessante da dire, e trovare riscontro. Solo così le parole non restano vane.

Allora Vaffanculo, esco e mi godo il sole al parco con Morbidezze e il Piccolo Papo, poi finisco il pezzo che martedì porto al cabaret, preparo il pane che è lievitato, mi riempio le bricche dell’acqua dal lavandino, mi preparo un’ ottima bio pappa e invito a pranzo i miei. Bacio, carezzo, faccio nanna, magari anche l’amore, lento, piano, mi riempio di vita e di piacere e come l’albero facendo la fotosintesi lo scorreggio fuori tutto e creo spazi d’aria respirabile.

Ah, poi andrò anche al seggio…

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P.S. Per il seggio: 

Campagne comiche: andiamo a votare con una molletta sul naso!
Roberto Boi, presidente del Comitato “La molletta”, ha lanciato una bizzarra campagna di protesta: ispirandosi a Indro Montanelli, il quale disse che per contenere l’avanzata del PCI era necessario votare DC, magari turandosi il naso, ha proposto di andare tutti a votare con una molletta sul naso (o attaccata al bavero della giacca).
“Una semplice molletta quale simbolo di esasperazione, di consapevolezza, di schiaffo morale. Una molletta quale composta, muta ma esplicita richiesta di tornare a un minimo di decenza, in ogni senso”.
Facciamolo!!!

 

In questo articolo, pigia qui, c’è una proposta divertente: Fatti una foto con la molletta sul naso e pubblicala su http://www.flickr.com/ è un sito che ospita foto, registrarsi è molto facile. Ti verrà chiesto di inserire una tag (cioè un titolo della foto) scrivi: elezioni 2008 molletta al naso. In questo modo basterà cercare “elezioni 2008 molletta al naso” perché vengano fuori tutte le foto di noi con le mollette al naso.

 

Il Cane

http://www.youtube.com/watch?v=Pb4oz405nhw

IL CANE E’ UN ESSERE SUPERIORE,

CI CURA CON DOLCEZZA SENZA FARCI AVVEDERE

D’ESSERE LUI A VEGLIARE SU DI NOI.

E NOI, ILLUSI BABBIONI, LO PORTIAMO A SPASSO

CONVINTI D’ESSERE PROPRIO NOI AD AVER CURA DI LUI.

MA LUI E’ GIA’ STATO UOMO, LUI HA GIA’ VIAGGIATO,

HA GIA’ VISITATO I POSTI DOVE LO PORTIAMO,

E NON CE LO DICE, NON CE LO FA CAPIRE

PER NON TOGLIERCI IL GUSTO DELLA SORPRESA

DI ANDARE IN UN POSTO NUOVO.

PENSIAMO SENZA ALCUN DUBBIO,

ANZI SENZA NEMMENO PORCI DUBBI,

D’ESSERE PIU’ EVOLUTI

PERCHE’ NOI SI PARLA, NOI SI PENSA, EHI, EHI !?

LUI SI ESPRIME E SI FA CAPIRE PUR NON PARLANDO,

PUR NON POTENDO AFFERRARE,

PUR NON SCRIVENDO!!

ED ALLORA CHI E’ L’ESSERE SUPERIORE,

FORSE NOI, FORSE L’UOMO!?

IL CANE E’ GIA’ STATO UOMO,

E’ CHIARO LO SI VEDE DAL BENE CHE CI SERBA

ANCHE SE SA

CHE POTREBBE ESSERE TRADITO E ABBANDONATO,

LO SI NOTA DA COME ABBRACCIA LA NOSTRA SORTE

ACCETTANDO I NOSTRI SCONFORTI E LE NOSTRE ANSIE,

LUI GIA’ SA’, GUARDA PIGRO, SORVEGLIA PLACIDO E NON SI SCOMPONE,

MA MEDITA E DORME.

LUI GIA’ SA CHE ANCHE NOI ERAVAMO SASSI,

SIAMO UOMINI E FORSE DIVENTEREMO CANI.

T’è piaciuta? Speriamo di sì perché ne ho mazzi interi di “poesie” come questa nel mio cassetto.

Non potrebbe essere la pubblicità per l’Enpa?

Non potrebbe essere la pubblicità per l’ Organizzazione Internazionale Protezione animali?

E’ un bel messaggio per prendere coscienza di quanto noi uomini si sia stronzi?

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